Fast Fashion: il lato oscuro della moda low cost
Fashion Sostenibile by Swapush
Come già scritto nel primo articolo della nostra rubrica Fashion Sostenibile by Swapush (clicca qui per leggere l’articolo), abbiamo deciso di realizzare una serie di articoli a tema moda sostenibile. Come sempre, partiamo dalla base.
Che cos’è la Fast Fashion?
‘Fast Fashion’ è un termine utilizzato per indicare dei capi di abbigliamento che passano direttamente dalle passerelle alla produzione in modo rapido ed economico. Si tratta di una strategia di produzione utilizzata dalle grandi catene di distribuzione della moda low cost, come Gap, H&M, Primark, Zara, e molti altri.
La Fast Fashion può anche essere definita “moda usa e getta”, poiché non pensata per un uso duraturo degli indumenti ma vede la produzione come qualcosa che va indossato per una stagione e poi gettato.
Il primo pensiero è sicuramente attrattivo: Che bello, vestiti nuovi ogni volta a prezzi economici!
Ma questo è davvero tutto fantastico?
La vendita di abbigliamento a basso costo comporta inevitabilmente lo stesso anche per la produzione. Una produzione a bassa costo significa , e produrre a basso costo significa non dare importanza a tantissimi aspetti della produzione.
Le conseguenze sull’ambiente
L’industria tessile rappresenta il secondo settore più inquinante al mondo, subito dopo il petrolio, e tra le prime per consumo di risorse naturali ed energia. La Fast Fashion contribuisce notevolmente e in modo diretto a questo inquinamento.
I dati relativi ai danni ambientali forniti dalla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite sono sconcertanti. L’industria tessile è responsabile del 20% dello spreco globale dell’acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica. Inoltre, è responsabile della produzione di gas serra maggiore a tutti gli spostamenti aerei e navali di tutto il mondo.
Oltre alla poca attenzione per questi “dettagli”, l’utilizzo di pesticidi o sostanze chimiche aggressive è la norma per queste aziende. Ogni giorno scaricano nell’acqua pesticidi, coloranti tossici e altre sostanze dannose utilizzate per la colorazione e lo sbiancamento dei tessuti.
Le conseguenze sulla comunità
Con questo atteggiamento, non è solo la natura a rimetterci. Le popolazioni che abitano vicino a queste fabbriche utilizzano i fiumi per l’acqua per l’agricoltura ed esigenze quotidiane. Quelli stessi fiumi in cui le fabbriche scaricano le loro sostanze tossiche, mettendo in serio pericolo la salute di queste comunità.
È noto a tutti il divario enorme che separa i costi del lavoro in Occidente da quelli di molti paesi in via di sviluppo. Questo comporta l’esportazione della mano d’opera. Moltissime aziende di vari settori scelgono questa strategia per poter rimanere competitive e redditizie su scala globale.
In questa strategia, il lavoratore è il più svantaggiato non solo dal punto di vista salariale ma anche per le condizioni lavorative.
La tragedia del 24 aprile 2013 in Bangladesh ne è, purtroppo, un esempio lampante. Il Rana Plaza era un grandissimo edificio di otto piani che ospitava appartamenti, numerosi negozi e diversi laboratori tessili che lavoravano per alcune tra le più note catene del fast fashion tra cui H&M, Benetton, Gap, Walmart. Nonostante diverse segnalazioni di pericolo di crollo dell’edificio, i laboratori tessili furono gli unici a continuare la loro attività. I lavoratori furono obbligati a recarsi a lavoro e svolgere la loro “normale” attività. Come preannunciato, l’edificio collassò. Questo crollo ha comportato 1129 vittime e 2515 feriti.
Cosa possiamo fare?
Smettere di acquistare da queste aziende significa fare qualcosa per risolvere questo problema. Se tutti smettessimo di comprare dall’industria del Fast Fashion, la loro strategia a ribasso non sarebbe più efficace. Un’alternativa più sostenibile, e comunque economica, è sicuramente l’acquisto di abiti usati. Il punto è semplice. Dobbiamo imparare a riflettere sulla scelta dei nostri acquisti. Dobbiamo scegliere di acquistare prodotti realizzati in modo etico e sostenibile!